L’assegno o divorzile è un istituto giuridico disciplinato all’art. 5, 6 della l. 898 del 1970, che ha subito mutamenti anche in sede interpretativa in forza delle nuove istanze che ha posto la società.
La giurisprudenza ha ricoperto un ruolo determinante rispetto ai requisiti probatori richiesti per l’ottenimento dell’assegno stesso.
Qual è, dunque, l’onere probatorio della parte che chieda l’assegno divorzile (nella sua funzione compensativa)?
La Suprema Corte, in sede di giudizio ha osservato che la Corte del merito ha escluso correttamente l’assegno divorzile, evidenziando la mancata allegazione e prova da parte del richiedente di profili fattuali sottesi ai requisiti perequativi e compensativi del predetto assegno (Cass. 24995 del 22.08.2023).
Cosa vuol dire esattamente dare prova dei requisiti fattuali in riferimento alla funzione compensativa dell’assegno?
La constatata sussistenza di uno squilibrio patrimoniale (requisito antecedente ed ineliminabile) tra gli ex coniugi deve trovare ragione (per l’assegno divorzile nella sua funzione compensativa) nelle scelte fatte durante il matrimonio, idonee a condurre l’istante a rinunciare a realistiche occasioni professionali-reddituali.
La prova delle scelte e delle concrete occasioni perdute di carriera spetta al richiedente l’assegno (Cass., Sez. 1, Ordinanza n. 9144 del 31/03/2023; Cass., Sez. 1, Sentenza n. 23583 del 28/07/2022; Cass., Sez. 1, Ordinanza n. 38362 del 03/12/2021).
Assume fondamentale rilievo un’altra recente pronuncia delle Sezioni Unite, secondo la quale, l’instaurazione di una stabile convivenza di fatto con una terza persona non necessariamente fa venire meno la possibilità per l’ex coniuge di ottenere un assegno divorzile, sia pure limitatamente alla componente perequativo-compensativa. A tal fine, si deve fornire la prova del contributo offerto alla comunione familiare, dell’eventuale rinuncia concordata ad occasioni lavorative e di crescita professionale in costanza di matrimonio, dell’apporto dato alla costruzione del patrimonio familiare e quindi di sostegno e aiuto alla carriera dell’altro coniuge (Cass., Sez. U, Sentenza n. 32198 del 05/11/2021).
Ciò che deve essere dimostrato, dunque, è che il coniuge economicamente più debole abbia sacrificato occasioni lavorative o di crescita professionale per dedicarsi alla famiglia, senza che sia necessario indagare le motivazioni strettamente individuali (eventualmente intime) che hanno portato a compiere tale scelta, che è stata accettata e condivisa dall’altro coniuge.
La parte può aver preferito dedicarsi esclusivamente o prevalentemente alla famiglia per amore dei figli o del coniuge, per sfuggire ad un ambiente di lavoro ostile o per altre ragioni, ma tali motivi non rilevano, poiché l’assegno mira a compensare lo squilibrio economico susseguente alla scelta di impiegare le proprie energie in seno alla famiglia, piuttosto che in attività lavorative, o in occasioni di crescita professionale, produttive di reddito.
Neppure può ritenersi che per giustificare l’attribuzione dell’assegno divorzile il contributo del coniuge deve comportare il sacrificio totale di ogni attività lavorativa per dedicarsi alla famiglia, poiché la legge non richiede una dedizione esclusiva, è solo necessario e sufficiente che il coniuge abbia sacrificato l’attività lavorativa oppure occasioni di carriera per dedicarsi di più alla famiglia.
L’entità di tale sacrificio potrà eventualmente interessare l’aspetto della quantificazione dell’assegno (Cass. 27945 del 2023).